Fior di loto

Sono Roberto, autista di bus da noleggio da diversi anni. La storia che voglio raccontare è successa circa tre anni fa. Il mio lavoro mi piace perché mi porta in giro per l’Europa, con turisti di tutto il mondo; in genere la guida ti dice dove devi andare, mentre tu devi solo esser concentrato a guidare il bus. Le guide, in genere, sono donne, ma anche tra i passeggeri a volte c’è qualche fica in caccia, quindi di avventure ne capitano spesso e molte, ma la volta in cui conobbi Yoko fu tutta particolare. Il mio capo mi dice: domani carichi a Roma dei turisti giapponesi; andrai in Toscana, Umbria e Venezia. Mi affida il programma e via. Il giorno dopo, all’aeroporto di Fiumicino, carico cinquanta piccoli giapponesi e la loro guida, Yoko, una fighetta molto carina. Mi prende in disparte e mi chiede se conosco i posti dove andremo: è la prima volta che viene in Italia. Parla quasi bene la lingua, ma vuole far bella figura e chiede il mio aiuto. Mi diventa subito simpatica e decido di star dalla sua parte. Mi fa morire dal ridere quando mi chiama "Lobelto", l’erre, per lei. non esiste. Si scusa facendo inchini, tutti ti salutano sempre con l’inchino. Il resto del gruppo è composto per lo più da persone anziane, molto educate e tranquille, tranne quando siamo in viaggio. Scattano foto a tutto e due tipette mostrano di interessarsi un po’ a me, ma la presenza continua di Yoko non lascia molto spazio. Il viaggio è tranquillo: da Roma andiamo in Toscana, risalendo la penisola passiamo prima per Tarquinia. Qui Yoko dimostra tutta la sua preparazione teorica, tanta, ma anche la scarsa conoscenza pratica. In questo sono io a venirle incontro, lei fa una bella figura ed io guadagno “punti.” Poi procediamo in su, verso Viterbo: altri punti per me. Mi piace, è molto simpatica e assolutamente inesperta di trasporti turistici italiani, ma fa di tutto per imparare e per questo non propone nulla se prima non mi ha consultato. Pranzo sul lago di Bolsena e via verso il nostro albergo a Chianciano. Lì sarà la base da cui ci muoveremo nei prossimi giorni. Arrivati quasi a sera, per le innumerevoli soste per scattare le solite mille foto al secondo, ci ritroviamo per la cena. Tutti mangiano, poi vogliono girare per la cittadina, nonostante siano stanchi per il viaggio. Io consiglio a lei serata libera: domani avremo molto da girare e vedere. Le chiedo, poi, se vuol vedere un posto speciale che io conosco lì. Lei mi guarda con aria incuriosita, accetta. Le chiedo di mettersi una comoda tuta e prendere costume e accappatoio, che la porto a far il bagno in un posto che pochi conoscono. Poco dopo torna e andiamo. Percorriamo circa dieci minuti di strada a piedi, e ci inoltriamo dentro una stradina di campagna.

Dopo esser discesi lungo un viottolo, ci troviamo sotto una rupe. Dalla roccia, a metà costone, sgorga un piccolo rivolo d’acqua calda, sotto c’è un laghetto che di notte, con la luna piena, è di una bellezza da mozzare il fiato. Ci spogliamo e, solo allora, mi comunica di non aver il costume; io la guardo e dico:
«Non fa nulla, siamo solo io, te e due coppie immerse nel lago. È notte, chi ti vede? Hai l’intimo? Lascia quello, se proprio vuoi.»
Ci spogliamo ed entriamo in acqua, la temperatura è perfetta, né troppo calda, né fredda. Si rilassa, mi viene vicino e mi sussurra.
«Lobelto è stupendo, mi piace tanto; mi licolda un posto vicino casa mia a Osaka. Glazie, mi ci voleva ploplio.»
Ne rido, mi fa morire ed intenerire. Le sto molto vicino permettendo che i nostri corpi si tocchino. Quando penso che sia il momento di provare un qualche approccio, vengo disturbato dal passaggio delle due coppie, che salutano e se ne vanno. Allora gioco la carta "cascata". La conduco più avanti, fino al costone roccioso, passando dietro l’acqua, c’è un punto dove la roccia ha una rientranza e forma una specie di grotta, proprio dietro il flusso dell’acqua, che, vista da dietro, con la luna piena in controluce, produce un effetto magico. Lei si tiene vicino a me, la magia del posto, la voglia reciproca di toccarsi, il desiderio. Me la ritrovo fra le braccia. Le nostre bocche si uniscono in un bacio dolcissimo, ma appassionato, che non lascia dubbi. Le mie mani iniziano ad esplorare il suo corpo. I suoi seni sono piccoli, ma molto sodi, duri, i microscopici capezzoli attirano la mia attenzione. Le tolgo l’intimo, è nuda, mi appoggio ad una roccia piatta dietro di me. Attiro il suo corpo su di me, che, in proporzione, è il doppio del suo. Mi fa morire. Le sue mani mi esplorano dappertutto. La sua bocca è inarrestabile, mi bacia e succhia, le mie mani arrivano al suo sesso. La sua fica è ricoperta da un pelo liscio, stupendo, le insinuo un dito dentro, è strettissima, lei intanto ha scoperto il mio cazzo.
«Ma è … ma è enolme!»
Esclama stupita.
Veramente, non che io sia un super dotato, ma ho comunque quasi una ventina di centimetri ed una discreta circonferenza, ma a lei è sembrato enorme.
«Non ho mai fatto l’amole con un uomo eulopeo. I giapponesi son più piccoli.»
Parla con voce rotta dall’emozione. Io intanto ho cominciato a toccarla e la voglia prende il sopravvento. Lei si comincia a scaldare.
«Sì… sì… uhumummmmmm...»

La sento eccitata. Mi accarezza il cazzo che, nel frattempo, è diventato veramente grosso e duro. Mi sollevo dall’acqua e le permetto di prenderlo in bocca. Lo guarda estasiata. Si mette a leccarlo, non riesce ad inserirlo in bocca: è troppo per lei. La faccio alzare, le sollevo le cosce, mi abbasso e inizio a passar la lingua su quel pelo liscio e morbido; insinuo la lingua dentro, e sento che comincia a gemere di piacere.
«Sì … Lobelto …SI'…huummmm…»
Vado avanti fino a quando, di colpo, si irrigidisce e mi regala un primo stupendo orgasmo: viene scuotendosi tutta.
«Godo!... Lobelto… Mi fai molile (あなたは私を死なせます= Mi fai morire)
Poi pronuncia alcune parole nella sua incomprensibile lingua, ma credo fossero dovute al piacere che provava. Mi sollevo, mi giro, mi metto con la roccia alle spalle, la faccio salire sopra me. Lei si posiziona sopra il mio cazzo, ed io inizio a strusciarlo lungo lo spacco della sua fica; lei esita, ma è eccitatissima.
«Ti plego: fa piano.»
Delicatamente inizio a far entrare il mio cazzo, lei si apre al massimo. Non è vergine, ma comunque entro lentamente. Sento le pareti della fica aderire perfettamente al mio cazzo. È stretta, sembra un guanto. Apre la bocca, la vedo quasi urlare, mi muovo molto lentamente, mi rendo conto che per lei non deve esser facile. Anche per me era la prima volta che mi scopavo una giapponese e cercavo di esser più dolce possibile. Lei mi guarda, sento il mio cazzo arrivare in fondo. Ne rimane fuori circa meno della metà. Resto fermo, voglio che adegui la sua vagina alla mia presenza; mi guarda, mi fa cenno d’assenso con la testa; allora esco e rientro in lei.
«Sì…Piano … sì…mi piace sì…dai…»
Incomincio a pomparla di gusto, è strettissima. Il mio cazzo resta mezzo fuori, se spingo oltre, sento il fondo della sua fica. Quando lo faccio, lei ha una smorfia di dolore. Mi metto più basso, lascio a lei la possibilità di metter i piedi per terra, così potrà calibrare la penetrazione a suo piacimento. Lei intuisce e incomincia uno stupendo su e giù. Viene a ripetizione e, dopo l’ennesimo orgasmo, si distende sfinita sul mio corpo, avvicina la sua bocca alla mia. Mi parla con un filo di voce.
«Lobelto, mi fai molile!»
La guardo e le rispondo con un sorriso.
«Veramente io non ho ancora cominciato!»

Mi guarda stupita: la giro, la metto di nuovo sulla roccia e comincio a pomparla con un ritmo più accelerato. Gode urlando e il rumore dell’acqua copre i suoni; infine le scarico dentro una sborrata interminabile. Lei, per il piacere mi conficca le unghie nella schiena, mi bacia con passione. La sua lingua cerca la mia e restiamo abbracciati dentro l’acqua per un tempo interminabile. Una volta usciti, siam tornati in albergo che era tardissimo: il giorno dopo, lei mi ha parlato in disparte.
«Glazie, ho plovato con te quello che vuol dile fale l’amole. Spelo che nei giolni a venile, vollai ancola il mio colpo.»
Non potevo desiderare amante più calda, appassionata e vogliosa di lei. La scopai tutte le sere e, prima di partire, volle che la prendessi anche nel culo. L’ho rivista due anni dopo; mi buttò le braccia al collo e mi stampò un bacio in bocca, davanti a tutto il gruppo.
«Lobelto, mi falai molile ancola?»