L’urlatrice
Dopo neanche un mese dal mio trasferimento a Pistoia mi trovavo in una filiale della banca per cui lavoravo e dovevo far lavare la macchina che era in condizioni pietose; un’impiegata si propose per farmi da tassista. Durante il ritorno notai la balza in pizzo dell’autoreggente che faceva capolino dalla gonna a portafoglio fin quando, a seguito dei movimenti delle gambe, la gonna scese completamente dal mio lato lasciando scoperta la gamba. “Ops”, disse Donatella sorridendo mentre si ricopriva. “Fai pure con comodo” dissi io. Da quel momento, da parte sua, fu tutta una serie di allusioni, ammiccamenti, battutine pepate. Ebbi la sensazione della femmina che decide quando, dove e come senza dover attendere la “esima” uscita. Gli zigomi alti e paffuti, gli occhi scuri dal taglio orientale con ciglia lunghissime e la bocca larga con labbra pronunciate. Non c’è che dire, stuzzicava l’immaginazione maschile.
La settimana successiva andammo a cena a Firenze con una coppia di suoi amici; lasciammo la mia macchina e ci accomodammo sui sedili posteriori della loro Mercedes coupé, io sul lato destro. Mentre si saliva per i tornanti di una collina fummo attratti dalla luna che aveva dimensione e luminosità straordinarie; per effetto della strada tortuosa, l’oggetto della nostra attenzione si spostava da destra a sinistra costringendo noi due ad addossarci uno all’altro per poter seguire lo spettacolo; il tetto basso e spiovente del coupé accresceva la necessità di avvicinarsi. Quando Donatella si accostava a me appoggiava un braccio sul mio ginocchio per sostenersi e il suo viso era a meno di trenta centimetri dalla mie gambe.
Senza farmi notare aprii la lampo dei pantaloni e lo tirai fuori nascondendolo col braccio destro.
Alla terza volta in cui si appoggiò dalla mia parte spostai il braccio e con la sinistra le spinsi la testa verso il basso fino a farglielo prendere in bocca. Istintivamente si tirò leggermente in su e girò il viso per osservarmi con aria maliziosa; poi rigirò la testa e se lo affondò in bocca.
Il giochino durò poco visti i cambi di direzione, la scomodità e la possibilità che la sua amica si voltasse, anche se non credo che si sarebbe scandalizzata; comunque il ghiaccio era rotto e si trattava solo di aspettare.
Di ritorno a casa, mi fece uscire dall’autostrada a Prato Ovest anziché a Pistoia dove abitava e mi fece entrare in una specie di zona industriale. Ci fermammo in una zona semi buia.
“Ora finisco ciò che ho cominciato” disse mettendosi ad armeggiare con la chiusura lampo. Io devo aver detto qualcosa sulla disponibilità della mia casa e la risposta fu “Per quella ci sarà tempo“.
Sentivo le sue labbra arrivare a toccare il mio inguine. Affondava lentamente fino a farselo sparire totalmente in bocca. Mi chiedevo dove le arrivasse e mi resi conto che evidentemente non aveva problemi di esofago. Continuò così finché la riempii; rimase in quella posizione inghiottendo fino all’ultima goccia poi si rialzò mi guardò soddisfatta come chi ha raggiunto l’obiettivo. “Ora sono soddisfatta e possiamo andare; finora solamente uno non mi è riuscito di prenderlo tutto! Che poi, voi ne fate una questione di vanto, ma se non lo sai usare, che ci fai col cazzo grosso?!” disse dopo essersi sciolta i capelli che aveva raccolto in una coda come da manuale della pompinara provetta.
Ci accordammo per vederci sabato mattina da me. Come arrivò andammo in camera; cercai di scoprire i vari punti deboli individuandoli nel collo, schiena e gambe. Il seno non dava particolari riscontri mentre era un godimento baciarla con quella bocca spalancata e la lingua che roteava e usciva a leccare qualsiasi cosa. Mi eccita il tuo modo di baciare” disse mentre stavo stimolando la sua clitoride trovandola già bagnata. Dopo una mezz’ora di preliminari mi sdraiai sul letto e me la misi a cavalcioni penetrandola. Cominciò a muoversi rapidamente assecondando i colpi con gemiti che si trasformarono rapidamente in urla. Mi chiese di passare alla posizione missionaria perché voleva vedere la mia espressione mentre la possedevo. Come cambiammo posizione mi piantò le unghie nella schiena e cominciò a urlare. Pochi minuti e venne; udivo distintamente il suono del liquido a ogni colpo che assestavo. Lo tirai fuori e me lo menai un po’ con l’intenzione di venirle sul seno; quando se ne accorse si fiondò sul mio uccello e riprese a succhiarlo finché non le vuotai in bocca tutto ciò che avevo.
Per essere stata la prima volta, venne veramente bene. Restava il fatto che quando la penetravo urlava a più non posso; mi disse che aveva provato a contenersi, ma così riduceva di molto il piacere. Io non avevo una particolare reputazione da mantenere nella palazzina, ma non mi andava di scopare di corsa per limitare i decibel o abbassare lo sguardo ogni volta che incontravo qualche coinquilino.
Così prendemmo a farlo di sera in aperta campagna; in questi ambiti diede sfogo a tutto quello che aveva in corpo perlomeno fino alla sera in cui si accesero le luci del casolare che distava un centinaio di metri da noi e furono sciolti due cani che corsero nella nostra direzione costringendoci a risalire seminudi in macchina lasciando sul campo il suo abbigliamento intimo.
Tornammo a farlo a casa mia; ormai ci conoscevamo bene per cui arrivavamo all’orgasmo nel migliore dei modi e lei, neanche a dirlo, urlava sempre più e più a lungo. Una sera, dopo una sua ottima performance vocale, partì un applauso e vari incitamenti dalla camera dei vicini; l’appartamento era affittato a una società edile che lo destinava ai propri dipendenti (muratori) per periodi più o meno lunghi. Mi vergognai come un bambino.
E, comunque, continuammo a trombare finché non cambiai casa…