Caterina
Avevo conosciuto Caterina - detta Licia Colò per la somiglianza con la presentatrice - a una cena di amici comuni e mi aveva attratto per la sua aria timida nonostante l’aspetto fisico la ponesse abitualmente all’attenzione dell’universo maschile.
Credo che non fosse abituata a indossare abiti aderenti e tacchi alti e in quell’occasione doveva sentirsi in difficoltà.
33 anni, alta 1,70, fascio di capelli ricci biondi, occhi azzurri, carnagione chiara, seno (poco) gambe e culo da atleta (giocava a pallavolo e si dilettava negli 800 metri).
Alla fine della serata riuscii ad avere il suo numero di telefono e cominciammo a frequentarci; caffè, aperitivo, pranzo, insomma repertorio classico. Durante un pranzo, mi raccontò di una precedente relazione, durata un paio d’anni, che era finita poiché il partner non prendeva mai iniziative e lei - per natura - era portata ad assecondare le iniziative altrui più che ad assumerne in proprio. “E questo anche in campo sessuale?” l’avevo stuzzicata. “Credo di si”, fu la risposta, mentre abbassava lo sguardo e le guance si imporporavano leggermente.
La invitai a cena a casa mia; “Preferirei che venissi tu da me”, rispose.
“Andiamo subito?!” dissi suscitando la sua risata.
Andai la settimana successiva.
Finito di mangiare, mentre attendevamo che fosse pronto il caffè, la aiutai a sparecchiare; il cucinotto piuttosto stretto comportava continui sfregamenti più o meno casuali da parte mia. Bevuto il caffè, mentre sciacquava le tazzine, mi appoggiai alla sua schiena, scostai il fascio di capelli e cominciai a baciarla sul collo e sulle spalle. Lei si bloccò, non so se per la sorpresa o per assaporare meglio i baci. Poi si girò e ci baciammo a lungo finendo dapprima sul divano e quindi a letto.
La schiena era la zona più sensibile e la percorsi con le mani e la lingua in lungo e in largo; provava brividi irrefrenabili e iniziava a sudare e ad annaspare, sembrava che le mancasse il respiro. In un paio di occasioni mi fermò dicendo di farle riprendere fiato mentre si liberava della frangetta soffiando verso l’alto in modo buffo. Io mi fermavo lo stretto indispensabile e poi ricominciavo più di prima. Con i pugni stringeva e tirava il lenzuolo ansimando sempre più; non diceva una parola, ma il suo corpo sembrava pronto a essere preso e quando passai a stimolarle la clitoride trovandola bagnatissima, la penetrai. Era sotto di me con quelle cosce sode spalancate che mi avvinghiavano per sentirmi tutto dentro. Si adeguò subito al mio ritmo diventando sempre più partecipe; iniziò a gridare a ogni affondo e continuò finché io non venni saltando fuori e innaffiandole pancia e seno. Eravamo entrambi madidi di sudore; lei cercava di normalizzare il respiro con inspirazioni lunghe e profonde. Non avevo capito se avesse goduto, ma non volevo chiederlo; pensai che l’avrei capito la volta successiva.
La volta successiva durò molto di più; dopo i canonici preliminari, la scopai dapprima a pecorina, poi su un lato, poi la leccai facendola sussultare finché mi fece capire che voleva essere nuovamente penetrata.
Seguiva ogni movimento, urlava e ansimava in ogni posizione, ma non capivo se e quando godeva. Così andai avanti finché non chiese una pausa (le parole esatte furono: “fammela raffreddare un po’“).
Quando ci fummo rilassati entrambi, le dissi che non avevo capito se fosse venuta; mi spiegò una sua particolarità: una volta raggiunto il primo orgasmo, gli altri si susseguivano senza farle più raggiungere un picco, ma senza neanche farle avere un periodo refrtattario. Praticamente era in una sorta di godimento costante e alla fine si ritrovava esausta senza aver capito quanti orgasmi avesse raggiunto. Chiarito questo aspetto singolare, le chiesi se si era ripresa a sufficienza e alla sua risposta affermativa dissi: “Bene, allora adesso lo riprendi finché non godo io”.
“Farò ‘sto sforzo!”, affermò sdraiandosi sul letto; ricominciammo finché non la riempii per bene.
Nella settimana successiva ci incontrammo ogni giorno affinando la nostra intesa; una sera era chinata per cercare qualcosa nel frigo e indossava solo le mutandine. “E vabbè, mica me lo puoi sbattere in faccia così…” pensai. Quando tornammo a letto mi misi a lavorare il fondo schiena per bene. Lei capì dove andavo a parare, disse di non averlo mai fatto ed ebbe anche un timido tentativo di resistenza; la lubrificai col gel e iniziai a entrare con un dito, poi con due e infine col cazzo. Non trovai alcuna difficoltà e lei, forse un po’ sorpresa, non fece altro che continuare a ripetere “oddio” mentre stringeva tutto ciò che le capitava tra le mani. Le nocche delle dita diventarono bianche, oscillava su e giù con le spalle, ma non mosse di un millimetro gambe e bacino finché non sentì il mio inguine sbattere contro di lei. Quando capì che era tutto dentro, abbassò la testa tra le braccia fino ad appoggiarla sul materasso ripetendo “non ci posso credere”; si assestò per trovare l’altezza più comoda e iniziò a muoversi seguendo i miei colpi finché mi sentì venire dentro di lei.
Non godette (stavolta me ne resi conto perché non strillava), ma le piacque essere posseduta; da parte mia, prenderla afferrando quei fianchi rotondi e tirando quel fascio di capelli facendole inarcare la schiena, fu un’esperienza entusiasmante. Quando finii di sborrare e lo tirai fuori lei si accasciò sul letto e guardandomi con un misto di vergogna e soddisfazione disse “Oddio, non ci credo, non posso averlo fatto. Non voglio guardarmi allo specchio fino a domattina”.
“E perché mai? Lo specchio non parla!” chiesi ridendo di gusto.
Mi fulminò: “Mi hai sodomizzata!!! E dico sodomizzata per non essere volgare! Forse per te è normale, ma io non ci avevo mai nemmeno pensato!”
E io con sguardo da cucciolo e tono falsamente sottomesso: “Però mi sembra che ti sia piaciuto “
“Appunto, accidenti a te, m’è anche piaciuto!!!”