Milena (Parte 1)

Il lavoro nobilita l'uomo. E' una imperscrutabile verità. Il mio nome è Manuel e da dieci anni dirigo una società di consulenza manageriale. Dodici ore di lavoro al giorno e tante responsabilità. Sono sposato da dieci anni, una moglie fantastica e un figlio di cinque anni che adoro. Se dovessi dare un aggettivo alla mia vita la definirei monotona.Tutto è cambiato con l'arrivo di Milena, giovane stagista, fresca di laurea in economia. Una ragazza giovane e brillante, ma molto esuberante. Il suo modo di fare a volte mi aveva messo in difficoltà. Così diretta e sicura di se', sembrava non avere paura di nulla.Di non temere nulla...
Il nostro rapporto nel corso dei mesi, è diventato confidenziale. Spesso ci è capitato di condividere dei momenti di svago insieme: un pranzo o un aperitivo, niente di più. Ma sono bastati per farci diventare più intimi e far cadere alcuni tabù che comportano lo stato di capo e assistente . Nonostante ciò, al lavoro, ci siamo sempre comportati con cordialità e rispetto, senza mai dimostrare la benché minima confidenza. Ce lo eravamo ripromessi il giorno in cui avevamo iniziato a darci del "Tu".
Milena, nonostante i suoi ventiquattro anni, aveva avuto un'infanzia difficile che le aveva lasciato diverse cicatrici. Un incidente l'aveva resa orfana a otto anni e l'adozione da parte dello zio paterno, avevano fatto precipitare la sua vita in una spirale dalla quale ancora non era riuscita ad uscirne. Durante una conversazione mi aveva confidato di aver ricevuto degli abusi da parte di quest'ultimo. Non di tipo sessuale, ma psicologici e fisici. Alzava spesso il bicchiere e quando tornava a casa ubriaco bastava un nulla per alzare le mani. Se ne era andata di casa al compimento della maggiore età. E quel giorno - mi disse - aveva ricominciato a respirare e vivere.
Non ricordo quando ho incominciato a desiderarla. Non ricordo quando ho iniziato a guardarla con occhi diversi. Se dovessi azzardare a una ipotesi, direi, quasi con certezza, che l'imput è stato il mese scorso, giorno del mio compleanno. Quel brindisi ci è stato fatale.
Ricordo che quel giorno le avevo detto sorridendo, che stavo invecchiando e che questi anni me li sentivo tutti addosso. Lei ci aveva riso sopra, prendendomi un po' in giro, per poi dirmi, che alcuni dicono che l'età dona esperienza, anche se - aveva aggiunto - l'esperienza non era altro che la somma degli errori che abbiamo commesso. E mi aveva domandato, ammiccando, quale ritenessi fosse l'errore più grande che avessi commesso nella mia vita. Complice il vino e quell'atmosfera allegra, mi lasciai andare ad una battuta: "Sento che l'errore più grande devo ancora commetterlo, ma so per certo, che questa sera indossa delle splendide louboutin rosse". Le sue labbra non hanno esitato e ci siamo ritrovati avvinghiati come due adolescenti sul divanetto del locale. Sentivo ancora il sapore dei suoi baci, dal retrogusto di lime e coca cola, mentre mi stavo svestendo di tutti questi ricordi sotto la doccia. Il timore che rientrando in casa mia moglie avesse potuto minimamente sospettare l'accaduto o ancora peggio aver potuto respirare il suo odore sulla mia pelle mi aveva terrorizzato. Mi ero lavato e profumato ma non ero riuscito a ripulirmi la coscienza. E quella sera mi aspettava la cosa più difficile:una cena di famiglia coi miei suoceri. Finsi di essere felice e sereno, ma in realtà, stavo indossando una maschera e dentro ardevo.
Quella notte avevo sentito ribollirmi il sangue. Non ero riuscito a dimenticare le parole di Milena che prima di salutarci mi aveva sussurrato all'orecchio:"Ancora tanti auguri Manuel. Ricorda che i baci di questa sera sono un assaggio di tutti quelli che avrei voluto darti dal primo giorno in cui ti ho visto. E mi raccomando, non sentirti in colpa perché si può morire di rimorsi ma non di sprits". E di sprits e cuba libre quella sera ne avevamo bevuti parecchi, forse troppi. Ma quei baci, in fondo, li avevo immaginati, voluti e desiderati da tanto tempo. Avevo solo soffocato l'istinto e represso la logica.
Non questa notte!